sr Giustiniani Chiara

nata a Roma il 18 aprile 1849,
morta a Nizza Monferrato il 30 novembre 1923,
dopo 37 anni di professione.

Terzogenita di una famiglia di antica nobiltà, Chiara Giustiniani trascorse la fanciullezza e giovinezza in un ambiente sereno e ricco di profonda pietà. Adelina, la sorella minore, assicurava di aver sempre sentito dire in famiglia che Chiara si distingueva, fin dall'infanzia, per l'ordine, la precisione, l'esattezza in tutto, tanto da stupire le persone che l'osservavano. È ancora lei a ricordarla nelle generose prestazioni alla parrocchia del S. Cuore.
Aveva conosciuto i Salesiani quando nel 1880 si erano stanziati a Roma, nel quartiere del Castro Pretorio dove lei abitava. Il direttore-parroco, don Francesco Dalmazzo, fu suo direttore spirituale. Se grazie a lui poté veder chiaro il disegno di Dio nella propria vita, che non si era mai lasciata sedurre dalle facili attrattive mondane, probabilmente la luce e la spinta decisiva le vennero dall'incontro con don Bosco nella primavera del 1884.
La decisione di farsi religiosa - per di più in un Istituto tanto modesto e sconosciuto come era allora quello delle FMA incontrò nella famiglia Giustiniani una certa resistenza. Ma alla fine vinse la fede sincera; e Chiarina, come sempre fu familiarmente chiamata, poté arrivare alla lontana Nizza nell'estate dello stesso 1884. Aveva trentacinque anni compiuti.
Era tanta la tenerezza che la legava ai suoi familiari che solo la disponibilità alle esigenze di Dio, alle quali si era sempre impegnata a corrispondere, poté farle superare la sofferenza di un distacco che, a quell'età, dovette riuscirle particolarmente penoso.

Trascorse il postulato e il noviziato con un bel numero di compagne più giovani di lei, e riuscì ad integrarsi in fretta in un ambiente e in un ritmo di vita ed anche di preghiera così diverso da quello vissuto da lei fino allora.
Era persona dalla cultura ricca e raffinata, ma senza diplomi particolari. Le Superiore ritennero bene, in vista dell’apostolato futuro, farle sostenere gli esami per il conseguimento dell'abilitazione magistrale. Essi, stranamente, furono un vero fallimento, ma offrirono alle Superiore l’opportunità di misurare bene l'umiltà di quella novizia, che pareva amare di più i comuni lavori domestici che lo studio e... gli esami.

Fece la prima professione il 22 agosto 1886, e venne subito scelta come capo-gruppo per la fondazione di Spagna, a Sarrià. Una capo-gruppo che, non solo per la maturità degli anni, ma per la sua generosità prudente e totale, assolverà, a mano a mano, il ruolo di direttrice, di maestra di postulato e di noviziato e, nel 1982, sarà la prima Superiora della visitatoria di Spagna.
In quella casa di Sarrià erano arrivate subito le vocazioni spagnole che, prima ancora di dar vita a nuove fondazioni in Spagna, andarono ad ingrossare le file delle missionarie in America Latina. Era quello un chiaro pensiero di don Bosco.
Quella casa - Torre Gironella si era chiamata - era stata scelta proprio dalla Madonna per le sue Figlie (cf Cron V 38-243).

Mentre suor Chiarina lavorava per dare all'Istituto tante generose e fedeli FMA spagnole, le Superiore in Italia continuavano ad approfittare della generosa ospitalità della famiglia Giustiniani quando dovevano sostare a Roma. E questo fino a quando l'Istituto non vi ebbe la sua prima casa (1891).
Lei non aveva mai dato peso alla condizione sociale della famiglia, né aveva mai pensato, né tanto meno desiderato, che questo potesse dare motivo a privilegi. Rifuggiva dal parlare di sé e dei suoi parenti, e dal sentirne parlare.
Avere parenti tanto vicini alle alte sfere del Vaticano (un cognato era cameriere d'onore di Cappa e Spada di S.S. Leone XIII) era per lei solo una felice possibilità di prestare un servizio al proprio Istituto o a chi si trovasse in qualche bisogno, e di farlo con prontezza e amore. Per questo era sempre disponibile.

Intanto, grazie al suo zelo, che rispecchiava con fedeltà le caratteristiche dello spirito salesiano, la casa di Sarrià si era aperta ad un gruppo di ragazze interne, che la carità di Doña Dorotea de Chopitea Serra, la grande benefattrice di don Bosco, sosteneva. Vennero anche, con l'oratorio, le scuole e il laboratorio per le esterne.
Suor Chiarina si appoggiata sempre ai consiglio dei Superiori salesiani della casa vicina dove, al direttore don Branda, era succeduto, anche in qualità di ispettore, il Servo di Dio don Filippo Rinaldi. Ha poi la fortuna, e ne gode da figlia rispettosa e affettuosissima, di ospitare spesso le Superiore in visita. (Sono anche gli anni delle ripetute partenze missionarie, e Barcellona è uno scalo normale). Ha sempre bisogno di questo sostegno e conforto, perché la sua grande umiltà si sviluppa sopra un nativo senso di inferiorità che supererà sempre con fatica.
In questo periodo spagnolo, che si protrarrà per diciannove anni consecutivi, suor Chiarina viene particolarmente ricordata come una persona che assomma in sé il ruolo di madre e maestra, di sorella maggiore e di infermiera de su niñas.
Tutto ciò che viveva lo esprimeva con un tratto inconfondibile, fatto di bontà e delicatezza, di signorilità ed esigenza: era il riflesso di una educazione che ne aveva segnato il modo di essere fin dall'ambiente familiare e che la squisita sensibilità religiosa e salesiana aveva accentuato divenendo forza plasmatrice. Era educatrice veramente efficace: amabile ed esigente insieme.
Pareva però, ed anche don Rinaldi la pensava così, che madre Chiarina mancasse di ardimento nelle iniziative. Con tutto ciò, sarà lei a far sciamare nell'Andalusia, a Valverde del Camino, nel 1893, il primo gruppo di suore per una nuova fondazione. Da allora seguiranno a ritmo serrato. Quando,
nel 1905, lascerà la Spagna, l'Istituto vi avrà due visitatorie con nove case e 81 suore, delle quali 59 temporanee.

In quell'anno passò a Torino come visitatrice della Transpadana. Fu per lei un periodo particolarmente distensivo: era vicina alle Superiore e vicinissima ai Superiori salesiani. Ma si trattò di un breve triennio. L'aspettava, nel 1908, l'ispettoria romana S. Cecilia, di recente istituzione e molto estesa.
A distanza di oltre vent'anni ritornava nella sua città per rimanervi.
Ma lì sostenne un servizio abbastanza travagliato e complesso, e lo fece con la consueta umile disponibilità. Era vicina ai suoi parenti, ma l'affetto che la legò alla famiglia non le impedì mai di anteporre ad esso la fedeltà ai suoi doveri di religiosa. In molte circostanze ebbe modo di manifestarlo con disinvoltura amorosa, che in lei non stupiva affatto.

Una suora del tempo ricorda come un giorno venne a visitarla la sorella Adele con altra signora. Madre Chiarina ne fu avvertita proprio quando stava per suonare la campana che chiamava la comunità alla lettura spirituale in cappella.
Non si turbò, ma passata dal parlatorio senza fermarvisi, avvisò le visitatrici del suo impegno comunitario se poi volevano e potevano attendere? L'attesero senza stupori e lamenti. La sorella le aveva abituate a rispettare quegli impegni che nella sua vita avevano davvero il primo posto.

Il 1911 la vede di ritorno in Spagna. A Sarrià, che continua ad essere la residenza dell'ispettrice, ci si prepara a celebrare il 25° dell'arrivo delle suore e di lei che le aveva guidate.
Allora era nella pienezza della sua maturità umana. Ora sta entrando nell'anzianità. È certamente stanca dopo quella serie ininterrotta di anni impegnati nel servizio di autorità. E la stanchezza fisica, si sa, logora anche la resistenza psicologica.

La vita dell'Istituto in Spagna è viva, estesa e, inevitabilmente, complessa. Dopo i ben riusciti festeggiamenti giubilari di Sarrià, suor Chiarina presenta alle Superiore esplicita domanda di esonero dalla sua carica di ispettrice.
A Nizza si esita ad accoglierla, e suor Chiarina vive allora un momento di grave tensione spirituale. Mentre si protesta decisa nella sua richiesta, dichiara di avere «la pace del cuore, la calma dello spirito, la tranquillità della coscienza», e quindi la sicurezza della rettitudine delle sue intenzioni e decisioni.
È disposta ad assumere i compiti più umili, come quelli dell'aiuto nella cucina di una casa salesiana. Aveva una volta dichiarato: «Lanzo è sempre il mio sogno dorato, come qualunque altra casa addetta ai Salesiani, perché tale opera fu sempre di mia predilezione» (frammento di lettera del 24 agosto 1912, in AGFMA).

Rimase invece a Sarrià, con la presenza della nuova ispettrice, madre Emilia Fracchia, e con grande edificazione delle suore. Passava il tempo a lavorare con grande impegno nel laboratorio, desiderosa, come diceva, di guadagnarsi il pane quotidiano. Nessuno riuscì a penetrare il segreto di quello strano 'passaggio'. La sofferenza che lo produsse fu tutta e solo sua; la serenità disinvolta con cui lo visse fu sua forza: olio con il quale ravvivò una lampada che inutilmente aveva cercato di collocare sotto il moggio.

E da sotto il moggio venne tolta ben presto per passare, ancora visitatrice, nel Belgio, ispettoria che includeva pure le case d'Inghilterra ed aveva la sua sede a Chertsey. Sono gli anni della prima guerra mondiale (1914-1.918), la quale ben presto la blocca in Inghilterra, impedita per tutti quegli anni di visitare case e suore del Belgio. Lei avverte inoltre, molto dolorosamente, la difficoltà di comunicare con le Superiore di Nizza.
Quella sosta forzata la obbliga ad un ritmo diverso. Lei ne approfitta per curare una assidua animazione spirituale delle suore.

Alla fine di quegli anni travagliati madre Chiarina arriva al traguardo dei settant'anni. Nell'autunno del 1920 fa ritorno in Italia, nella "Casa-madre” di Nizza. In quella casa aveva vissuto i due anni preziosi della sua formazione nel postulato e noviziato. Era poi ritornata in varie circostanze, ma sempre per brevi giorni. Ora è il riposante approdo dopo tanto lavorare con impegni di responsabilità. Visse ancora tre anni, nella gioiosa adesione a tutto ciò che la Regola le chiedeva, nella fedeltà alla vita di tutti i momenti.
L'ultimo atto di vita comune venne da lei vissuto nella circostanza della festa di santa Caterinetta, che stringeva le suore intorno alla Madre generale, madre Caterina Daghero, in graziosa e filiale allegria. Madre Chiarina, «umile affettuosa e delicata come sempre», felice di quella serata, aveva accompagnato la Madre fino alla soglia della sua camera, e si era subito ritirata nella sua.

Qui il suo grande e sensibile cuore cedette nel giro di breve ora. Sapeva di questa sua grave carenza cardiaca, e costantemente chiedeva al Signore la grazia di morire assistita dal sacerdote. Il Signore la soddisfece ottenendole, malgrado l'ora notturna, la presenza del cappellano della casa, che le amministrò gli ultimi Sacramenti.
Singolare il soddisfacimento di un altro suo desiderio: morire nella novena della Purissima. Partì proprio nel suo secondo giorno, certamente confortata dalla sua 'presenza' materna.

Suor Chiarina, meglio: madre Chiarina, come finì per essere sempre chiamata, era sempre stata molto esigente con se stessa, perché aveva saputo riconoscere ed apprezzare i doni gratuiti di Dio nella sua vita; ed era in lei spontaneo formare novizie e suore alla fedele e delicata osservanza.
Sapeva farlo con innata squisitezza di modi, ma con ferma schiettezza di espressioni. Se alla giovane suora insegna un distacco che pare quasi minuzioso, lei non manca di accusarsi con la Madre generale di ogni più lieve trasgressione.

Le testimonianze sottolineano il suo costante esercizio di carità, che, con san Francesco di Sales, riteneva di dover fondare sui semplici tratti della "buona educazione”.
Orientava instancabilmente alle Superiore, facendo conoscere e apprezzare i loro insegnamenti, raccomandando atteggiamenti di fiducia e di confidenza nei loro riguardi. Mentre parlava tanto delle “amatissime" Superiore, offriva in se stessa un modello concreto della loro maternità. Dolce e piena di attenzioni, serena e semplice nei rapporti, riusciva a dire con garbo e decisione anche le cose più spiacevoli.
Se è vero che non riusciva a concepire una religiosa superficiale, sapeva però sempre accogliere confidenze e umili accuse con materna comprensione e totale partecipazione. Lo ricorda con commozione suor Frances Pedrick, che era stata consigliata di confidare all'ispettrice la situazione delicata che stava vivendo. Superandosi, riesce a confidarsi con evidente confusione. Madre Chiarina, dopo averla silenziosamente ascoltata, le disse parole che suor Frances trascriveva testualmente: «Figlia cara, se ho sempre sentito stima e affetto per lei, ora si sono centuplicati. L'amerò e stimerò ancor più in futuro. Questo piccolo atto di umiltà I'ha resa molto cara al mio cuore».

Suor M. Botto ha memoria del suo amore alla semplicità, alla schiettezza, alla giustizia. «Correggo tutti i diletti - diceva - perché vi voglio sante»,
Così austera, così gelosa della fedele osservanza, sapeva vivere anche l'osservanza della... serenità, facendosi l'anima delle ricreazioni, nelle quali si esprimeva con una semplicità così sconcertante, quasi infantile. Era costantemente attiva e industriosa perché una santa gioia regnasse sempre nella nostra casa religiosa» scrive suor Berta Banks.

Evidentemente più numerose sono le testimonianze di quante vissero con lei tanto da vicino, gli anni della guerra, nella forzata sosta d’Inghilterra. Ed ecco una bella pagina da fioretti... salesiani.

Era andata a Londra Battersea in occasione della festa di quel direttore salesiano. Il lavoro delle suore era molto, e lèi non mancò di vivere quella giornata insieme a loro, nella cucina. Si sa che in Inghilterra l'uva non è un frutto abbondante, in quei tempi di guerra poi! Ma per quella festa di famiglia c'era anche un bel cesto di uva bianca. Un cesto! Madre Chiarina lo sostiene con suor Carolina Ferrero, ed entra nel refettorio, dove centoventi ragazzi puntano gli occhi su di esso con evidente bramosia e limpida gioia.
Madre Chiarina vuole concedersi la gioia di quella distribuzione. Suor Carolina le ricorda sottovoce che i ragazzi sono centoventi, e il cesto, neppure molto grande, è uno solo. Lei passa sorridendo, e lascia su ogni piatto una porzione traboccante.
Suor Carolina tenta il richiamo dell'esperienza prudente: se continua a quel modo resteranno a metà senza uva. Invece, anche per il centoventesimo ragazzo il piatto sarà colmo. Il cesto è vuoto e le due suore rientrano in cucina: l'una maternamente soddisfatta, l'altra, fuori di sé dalla meraviglia.
La testimonianza scritta è della stupefatta testimone.

Madre Chiarina vive di fiducia: ne ha tanta e cerca di trasfonderla. Così era avvenuto a Sarrià, quando la postulante Adela Morata aveva ingerito uno spillo che si trovava nel pane. Stava per soffocare. Suor Chiarina aveva invitato le presenti a pregare con lei tre Ave Maria con fiducia. Lo spillo venne subito rimesso senza altre conseguenze (cf Cronaca di Sarrià, 16 gennaio 1891).

Eppure, questa donna, sicura di Dio non lo è di se stessa. Ha sempre bisogno del rassicurante pensiero delle sue Superiore: sulla loro parola riposa e agisce. Non si è forse consegnata a loro, rappresentanti di Dio, per essere certa di camminare nella sua volontà?
Madre Daghero, la giovane Superiora - sorella, la rimette in equilibrio con chiara fermezza: "Come vuoi - le scriveva da Roma - che io mi prenda la responsabilità di ciò che non so e non vedo? Tocca a te che hai l'incarico, il pensiero di retto».

Suor Chiarina arriverà a capire che il servizio di autorità esige un esercizio costante di equilibrio e di coraggiose, anche se sofferte, decisioni! Ci arriva, ma a prezzo di sangue, superando resistenze e timori che pochi riuscirono a cogliere al di là di una costante letizia.

Suor Chiara era radicata nella pietà autentica, che si alimenta alla Fonte della Carità e si esprime in carità. Ma ciò che dava un inconfondibile colore a tutto era proprio la sua umiltà. Vien da pensare che I'avesse assunta dal Mistero eucaristico di cui era particolarmente devota. Si può dire che non vi è testimonianza che non tocchi la caratteristica della sua umiltà, e in modo spesso fortemente significativo.

Una suora spagnola, suor Bertràn, che la conobbe molto bene fin da ragazza, non dubita di affermare che proprio la sua umiltà le attirava i cuori, ed era il segreto della stima generale di cui godeva anche da parte delle persone esterne.
Già sappiamo che della sua nobile estrazione sociale non sopportava se ne parlasse, anche se di questo'privilegio' sapeva servirsene opportunamente a vantaggio del suo Istituto quando ne veniva richiesta.
Nelle visite alle case, quando le suore la vedevano occuparsi nei lavori più comuni, provavano, almeno inizialmente, un senso di disagio. Lei invece, cercava di adeguarsi a loro e si compiaceva solo di essere riuscita a eguagliarle condividendone un po' la quotidiana fatica, specie nelle cucine e ai lavandini delle case salesiane. Lo faceva con "bel garbo", quasi riconoscente a chi glielo lasciava fare.

Il suo allenamento bisognava cercarlo molto in là, quando curava la guardaroba dei Salesiani al Castro Pretorio di Roma, e quando a Sarrià doveva, con le poche suore dei primi tempi, occupare anche le ricreazioni per badare al bucato dei confratelli e dei loro ragazzi. Non si distingueva dalle altre che per la prontezza e disinvoltura con cui assumeva i carichi di biancheria, andando e venendo con l'ardore di una giovanetta.
Ma altri e più concreti segni di umiltà suor Chiarina sa donare quando si accusa davanti a tutte per aver rotto qualche cosa; o quando chiede perdono alle sorelle che ritiene di aver ferito con i suoi ammonimenti. Sconcertava ed edificava il suo costante chiedere i permessi con la semplicità fervida di una novizia. Di sé parlava solo per riferire ciò che avrebbe potuto umiliarla e diminuire la stima che si aveva di lei.

Una suora, a quel tempo novizia, ricorda che si era una volta presentata a madre Chiarina per affidare al suo cuore una di quelle piccole pene che Dio permette per esercizio concreto di umiltà. L'ispettrice l'ascoltò in silenzio, poi, fissandola con il suo sguardo franco e buono, le disse, come solo commento e con grande naturalezza: "Vedi, figliuola, padre Rinaldi [era partito da poco per Torino lasciando un grande vuoto tra le suore di Spagna] mi ha scritto e mi dice che non servo a nulla. Lo credo, ne sono persuasa e me ne sto tranquilla". La novizia scoprì, e non lo dimenticò più, in questo umile sentire della madre il segreto della sua costante serenità, e a lei, ancora principiante nella vita spirituale, apparve come un gigante di virtù.
Quando la vedevamo felice e sollecita accanto a una Superiora in visita, non sapevamo se più ammirare la sua distinta cultura e la finezza del tratto che si esprimeva in mille accorgimenti filiali, o la modestia e semplicità che pareva il suo stile più proprio e naturale.

Il suo edificio spirituale aveva fissato basi solide nell'umiltà attinta al Cuore di Cristo. I1 cuore di suor Chiarina riposava in Dio, del quale si sentiva una figlia piccola, ma amata fin dall'eternità.
Una giovane postulante inglese ricordava, anche per le sue compagne, che ciò che più le colpiva in lei era la dolce e gioviale disposizione d'animo, e la sua tenerezza. Erano il frutto concreto dell'umiltà.

Non stupisce che la Cronaca di Nizza, nel giorno della sua morte - 30 novembre 1923 - porti di lei questa sintetica descrizione: ..Appariva alle suore specchiato esempio di umiltà, di semplicità, di fervore. L'ultima delle novizie non avrebbe potuto condurre una vita più umile, più rigorosamente osservante, e altresì più dolcemente gaia. Ché, madre Chiarina aveva sempre in bocca e negli occhi un lieto sorriso. Veneranda per età e uffici sostenuti nell'Istituto, non mostrò mai di valersene, anzi, la povertà e l'obbedienza, praticate da lei con virtù non comune, mostrarono quanto fosse stata degna di essere superiora, poiché sapeva ora essere osservantissima suora vivendo pienamente la vita comune».

Suor Giustiniani Chiara in Facciamo Memoria. Cenni biografici delle FMA defunte nel 1923, Istituto FMA, Roma 1986, 102-110.Testo